• 19 April 2024

Tutti possono iscriversi ad un tiro a segno nazionale o ad un poligono. Anche chi si è visto negato il porto d’armi perché considerato una minaccia per la pubblica sicurezza come spiega Giorgio Beretta a Today.it dopo il caso del pluriomicidio di Roma

Più controlli sulle armi: dopo l’ennesima strage in una Italia che si scopre più armata di quanto le statistiche possano descrivere ora la politica chiede una stretta su tiro a segno e poligoni. “C’è chiaramente l’esigenza di un rafforzamento dei controlli sull’utilizzo delle armi nei tiro a segno nazionali e nei poligoni di tiro” dice il sindaco di Roma Roberto Gualtieri al termine della riunione del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, insieme al prefetto Bruno Frattasi, per esaminare i fatti di Fidene in cui nel corso di una sparatoria sono morte tre persone. “È evidente che non sono previste delle procedure rigorose – ha proseguito- Occorre quindi maggiore rigore normativo perché se da una parte la nostra normativa, a differenza di quella di altri paesi, è severa sulla concessione dei porti d’arma, non è così sull’utilizzo delle armi nei poligoni”.

Il sindaco quindi ha esortato a una “maggiore severità” “sia sull’informazione, sia dal punto di vista della verifica che deve essere rigorosissima perché non è possibile trafugare armi da un poligono senza che nessuno se ne accorga. Sarebbe quindi opportuna una stretta sia dal punto di vista legislativo che amministravo sull’utilizzo delle armi nei poligoni”. Un caso perché a carico di Claudio Campiti non c’erano precedenti penali ma la prefettura di Rieti gli aveva negato nel 2018 il porto d’armi sportivo. Il no alla sua richiesta era arrivato grazie alle informazioni fornite dai carabinieri del luogo di residenza, che avevano riferito delle liti in corso con il consorzio. È possibile pensare, quindi, che Campiti per sparare nel poligono avesse frequentato un corso base. Di quelli canonici, di due ore, durante le quali vengono spiegate le norme di sicurezza e come usare la pistola.

Ma come è possibile che un’arma sia uscita dal poligono? Carabinieri e procura ci stanno lavorando. “Al di là della sottrazione dell’arma dal poligono e altri aspetti su cui dovranno investigare gli inquirenti – commenta a Today.it Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia – da questo caso emerge un annoso problema che riguarda numerosi vuoti normativi – collegati principalmente al tema della privacy – alquanto pericolosi per la sicurezza pubblica”.

“Nel caso in questione si tratta soprattutto del fatto che la normativa attuale non prevedere alcuna comunicazione da parte delle autorità di pubblica sicurezza alle sedi provinciali di Tiro a Segno Nazionale e ai poligoni di un diniego del porto d’armi nei confronti di una persona, o viceversa, che una di queste strutture debba verificare se a chi fa domanda di iscrizione sia stata negata o ritirata una licenza di porto o di detenzione delle armi, anzi addirittura prevede che anche chi è sprovvisto di licenza di porto d’armi possa iscriversi ad un Tiro a segno nazionale o ad un poligono e possa esercitarsi a sparare con le armi” spiega Beretta.

Beretta che su questi problemi ha scritto da poco il libro Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata edito da Edizioni Altreconomia spiega: “Altri vuoti normativi riguardano la mancata comunicazione alle questure e prefetture da parte degli uffici comunali del decesso di una persona che detiene armi: è il caso che ha riguardato la strage di Ardea dell’anno scorso, dove il figlio di una guardia giurata ha continuato a detenere la pistola del padre defunto e con questa ha ucciso due bambini e un anziano. Ma soprattutto la questione riguarda la mancanza di obbligatorietà di comunicazione da parte dei medici di base, delle ASL e di medici specialisti alle autorità di pubblica sicurezza nei casi in cui un legale detentore di armi incorra in problemi di tipo neurologico, in disturbi mentali, di personalità e comportamentali o sia sottoposto a terapie farmacologiche che prevedano l’uso di psicofarmaci che possono, anche temporaneamente, interferire con lo stato di vigilanza o che abbiano ripercussioni invalidanti di carattere motorio, statico o dinamico” chiosa Beretta.

“In tutti questi casi, che spesso vedono il verificarsi anche manie persecutorie e tentativi di suicidio, il legale possessore di armi continua a detenere le armi per tutto il periodo di validità della licenza che generalmente è di cinque anni. E non sono pochi i casi in cui, persone depresse o in cura per disturbi mentali, hanno utilizzato l’arma legalmente detenuta per compiere un omicidio” conclude Beretta.

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