Alessia Pifferi, le psicologhe del carcere «hanno attestato il falso con l’intento di aiutare la difesa». L’indagine e il processo parallelo
Iniziativa giudiziaria molto ardita del pm Francesco De Tommasi, un «processo parallelo».
L’Ordine degli avvocati e la Camera Penale: «Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione»
Il pm del processo ad Alessia Pifferi indaga per l’ipotesi di falso ideologico il difensore e due psicologhe che nel carcere di San Vittore ebbero colloqui con l’imputata di aver lasciato morire di fame e sete la figlia Diana di 18 mesi: è una iniziativa giudiziaria molto ardita il decreto di perquisizione – a carico delle psicologhe Paola Guerzoni e Letizia Marazzi, in concorso con l’avvocato Alessia Pontenani – che il pm Francesco De Tommasi ha firmato mercoledì da solo. Senza che dei due precedenti mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali in carcere siano state al corrente la pm contitolare del processo, Rosaria Stagnaro, e i due procuratori aggiunti Alessandra Dolci (pool antimafia di cui fa parte De Tommasi) e Letizia Mannella (pool famiglia dove lavora Stagnaro), ma solo il procuratore Marcello Viola.
Un segmento di «processo parallelo» al processo in corso. Che piomba proprio nel mezzo della perizia d’ufficio in corso, affidata il 10 ottobre 2023 dalla Corte d’Assise del presidente Ilio Mannucci Pacini al consulente Elvezio Pirfo per verificare entro fine febbraio la «sussistenza al momento del fatto della capacità di intendere e di volere, nonché l’eventuale pericolosità sociale» della donna.
Il punto di partenza è il già notorio «non ci sto ad essere preso in giro» col quale il pm De Tommasi in udienza nell’autunno 2023 aveva contestato la friabilità dei test psicologici e delle pregresse relazioni delle due psicologhe di San Vittore sul basso quoziente intellettivo di Pifferi che non le consentirebbe di accorgersi della sofferenza altrui né di collocare nel tempo le conseguenze dei propri atti.
Materiale poi utilizzato come spunto dal subentrato difensore Alessia Pontenani per prospettare in Pifferi un «deficit di sviluppo intellettivo di grado moderato» che non la farebbe accorgere della sofferenza altrui, né collocare nel tempo le conseguenze dei propri atti.
E ora il pm traduce questa sua contrarietà nella contestazione di un atteggiamento nelle psicologhe non di «descrizione clinica», ma di «estrapolazione deduttiva di una vera e propria tesi difensiva». A cominciare dai colloqui di assistenza psicologica che per il pm nemmeno avrebbero dovuto esserci perché Pifferi «non è a rischio di atti anti conservativi e si presentava lucida». Quei colloqui avrebbero invece integrato «una vera e propria attività di consulenza difensiva non rientrante nelle competenze delle psicologhe», finalizzata a «creare, con false attestazioni sullo stato mentale della detenuta, le condizioni per tentare di giustificare la somministrazione del test psicodiagnostico Wais» fuori da «buone prassi di riferimento» e con «esiti incompatibili con le effettive caratteristiche psichiche della detenuta».
Tutto per fornirle una base documentale che le permettesse di chiedere e ottenere l’«agognata perizia psichiatrica».
Sulla base di intercettazioni autorizzate dal gip Fabrizio Filice sino allo stop dopo un paio di mesi, il pm prospetta ad esempio che il 2 gennaio una delle psicologhe abbia fatto un colloquio di «monitoraggio» con la detenuta risoltosi in realtà in «un vero e proprio “interrogatorio” per acquisire informazioni sui contenuti e la tipologia dei test psicodiagnostici somministrati alla Pifferi» dalla perizia d’ufficio in corso; e nel contesto di una «chiacchierata tra amiche», con «scambio di baci» e «risate», sarebbero state fatte domande «attinenti alle contestazioni sollevate dal pm» davanti alla Corte d’Assise.
In più il pm, ritenendo una delle psicologhe mossa da un movente «antisociale» di voler scardinare il sistema «goccia dopo goccia» per salvare le ritenute vittime della giustizia, ha sequestrato anche le cartelle cliniche di altre quattro detenute in contatto con le psicologhe, tra cui una condannata all’ergastolo per aver ucciso con 14 coltellate il marito, e una condannata a 12 anni per aver soffocato con un cuscino la figlia di due anni.
«Proprio nella Giornata internazionale dedicata all’avvocato in pericolo», l’Ordine degli Avvocati e la Camera Penale di Milano in una posizione comune additano «la peculiarità che un pm, oppostosi nel processo all’ammissione di una perizia sulla capacità dell’imputata richiesta anche sulla base del diario clinico, abbia ritenuto di indagare anche il difensore che ha utilizzato un documento ufficiale del carcere per formulare le proprie richieste di prova». Senza voler entrare nel merito, «non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione: è difficile, mettendosi nei panni della collega, non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro».