Carne sintetica: quanto si può parlare di green economy e salute?

Le multinazionali, soprattutto quelle americane, stanno cercando di abbattere delle nuove frontiere alimentari attraverso del cibo fatto in laboratorio con cellule staminali, quindi carne prodotta in vitro, le uova covate senza le galline, il miele senza il volo delle api e così via. Questo cibo sintetico quasi sicuramente sconvolgerà il sistema agroalimentare globale non solo da un punto di vista tradizionale e culturale, ma anche economico e ambientale – stando al report di Coldiretti, il 95% dei consumatori è contrario. Gli impatti economici che la carne sintetica può avere sono elevatissimi specialmente per le piccole e medie imprese che basano il proprio capitale su un tipo di agricoltura e allevamento localizzato che non ha niente a che vedere con quegli allevamenti o colture intensive. Infatti le multinazionali giustificano la produzione di carne sintetica come un modo più green per sostenere l’ambiente e l’economia proprio per combattere e contrastare gli allevamenti e le colture intensive che hanno provocato danni significativi all’ambiente e agli animali – altre ai consumi economici legati a questi due fenomeni industriali. Una preoccupazione del tutto simile ricorda molto da vicino la coltivazione di soia o di quinoa in Sudamerica che di fatto è aumentata con l’aumento della richiesta per una dieta più green e sostenibile. Infatti l’aumento della domanda per questo food healthy ha provocato un forte impatto ambientale e sociale sulle Ande, per cui c’è meno biodiversità, un uso maggiore dei pesticidi e il conseguente impoverimento dei terreni.

Si pensi che i maggiori produttori di quinoa sono il Perù, la Bolivia e l’Ecuador con 190.000 tonnellate all’anno, anche se il trend è in continua crescita e la produzione di questo seme in un decennio – dal 2000 al 2009 – è aumentata di 40 volte. Per cui l’attenzione a un tipo di dieta più sostenibile e più salutare legata alla soia, o alla quinoa o ai semi di chia, ecc., può provocare dei danni se comparati a un sistema industriale globalizzato – e questo è un dato di fatto. Nel caso della quinoa, il problema riguarda sia gli effetti ambientali che sociali perché da un lato vengono prodotti 560 kg rispetto agli 800 iniziali, c’è un maggiore consumo di acqua per la coltura e considerando il boom della domanda da parte dei paesi occidentali e la convenienza del costo di esportazione questo tipo di food healthy che era alla base della dieta della popolazione delle Ande, ormai non viene più consumata da loro ma dalla catena industrializzata esterna e questo è chiaramente un problema non da poco.

Il caso della quinoa è un esempio dell’ambiguità con cui si parla di green economy, salute e sostenibilità, quando invece è necessario valutare i pro e i contro di ciò che si fa rientrare in questo discorso. La carne sintetica, però, non è detto che vada a contrastare il consumo sempre maggiore di carne e quindi la crescente preoccupazione per gli allevamenti intensivi e i macelli. Per produrre la carne sintetica – solo nel 2020 sono stati investiti 366 milioni di dollari – vengono sfruttati i feti delle mucche, per cui si va a stressare comunque l’animale senza produrre un cambio di rotta davvero green ed etico, piuttosto sembra il contrario. Questa produzione non salva l’ambiente perché va a consumare più acqua ed energia degli allevamenti tradizionali; non aiuta la salute perché questi prodotti chimici e artificiali potrebbero non essere sicuri per il consumo alimentare. In sostanza non risulta essere un’alternativa sana alla carne da macello.

Aniello Ascolese, Direttore regionale di Coldiretti Molise, ha dichiarato che si tratta di “un grandissimo inganno che rischia di sconvolgere in maniera irreversibile il sistema agroalimentare globale imponendo l’omologazione dei cibi e spingendo i consumatori verso un modello di dieta artificiale. Consentire la commercializzazione del cibo prodotto in laboratorio significa decretare la fine dell’agricoltura e degli agricoltori, dei nostri allevamenti, della biodiversità, delle tradizioni locali e della cura del territorio che i nostri contadini garantiscono attraverso il loro operato quotidiano”.

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